MG Metro 6R4, la paziente inglese

MG Metro 6R4
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Aggressiva ma piena di guai: storia dell'unica Gruppo B da rally britannica

La MG Metro 6R4 non ha mai vinto un rally iridato e ne ha conclusi pochi (a causa della scarsa affidabilità): nonostante questo resta una delle Gruppo B più conosciute. Oggetto del desiderio degli appassionati di corse britannici (ma non solo) e caratterizzata da un design aggressivo e da prestazioni impressionanti (come tutte le rivali che hanno gareggiato nel mitico quinquennio 1982-1986), ha cercato – senza successo – di primeggiare contro rivali agguerrite. Scopriamo insieme la sua storia, ricca di delusioni e povera di trionfi.

MG Metro 6R4: la storia

Il progetto della MG Metro 6R4 parte nel 1982 quando la FISA (Fédération Internationale du Sport Automobile, sezione sportiva della FIA) introduce la categoria Gruppo B per le auto da rally: motori aspirati (da 2 a 4 litri) o sovralimentati (da 1,4 a 2,9 litri), peso minimo regolamentare variabile (da 820 a 1.100 kg a seconda della cilindrata) e derivazione da un modello prodotto in serie in almeno 200 esemplari.

Il reparto sportivo della British Leyland – colosso automobilistico britannico che all’epoca gestisce, tra le altre cose, il marchio MG – decide di partecipare al Mondiale con un modello simile nel design alla Metro (variante sportiva, presentata in quello stesso anno, della piccola Austin svelata nel 1980) e chiede aiuto alla Williams.

Dopo aver testato un motore V8 anteriore abbinato alla trazione posteriore si decide di puntare per la MG Metro 6R4 su un propulsore montato in posizione posteriore centrale unito alla trazione integrale: inizialmente si pensa di utilizzare un V6 Honda (Casa con la quale la Leyland ha una partnership) ma in seguito si opta per un 2.5 a sei cilindri a V derivato dal 3.5 V8 Rover (di origine Buick), unità con la quale vengono effettuati i primi test privati nel febbraio del 1983.

La Metro debutta in gara (in veste ancora non definitiva) il 31 marzo 1984 in occasione dello York National Rally con il pilota britannico Tony Pond: l’esito della gara (ritiro per problemi tecnici) è un’anticipazione di quella che sarà la carriera sportiva della “baby” inglese. Il primo successo arriva a marzo 1985, sempre con Pond, allo Skip Brown Gwynedd Rally.

La MG Metro 6R4 ufficiale – dotata di un motore 3.0 V6 aspirato a benzina da 410 CV (250 per la variante destinata al pubblico) – viene presentata nel maggio 1985 con una vernice rossa impreziosita dal tetto bianco per omaggiare le Mini capaci di conquistare tre edizioni del Rally di Monte Carlo.

I tecnici “british” scelgono di non adottare la sovralimentazione per avere un’erogazione più ampia e un minore surriscaldamento: una scelta errata visto che in gara le rivali ad alimentazione forzata si riveleranno più grintose e nonostante tutto meno cagionevoli di salute. Tra agosto e ottobre vengono prodotti i 200 esemplari necessari per l’omologazione Gruppo B (più una ventina destinati alle gare), che arriva l’1 novembre.

1985

Risale a fine novembre – in occasione dell’ultima prova del Mondiale rally 1985 (il RAC in Gran Bretagna) – il debutto iridato della Metro: Pond ottiene un terzo posto (miglior piazzamento in assoluto della piccola “british” nonché unico podio di sempre nel WRC) mentre il britannico Malcolm Wilson è costretto al ritiro per un guaio al motore. Viene anche schierata una vettura privata guidata da Geoff Fielding ma non termina la gara per via della perdita di una ruota.

1986

Nel 1986 la British Leyland decide di schierare la MG Metro 6R4 in tutte le tappe europee del campionato iridato: il brand britannico chiude al 9° posto tra i Costruttori in una stagione ricca di delusioni.

A Monte Carlo Pond è vittima di un incidente mentre Wilson soffre di problemi alla trasmissione, in Svezia Wilson e lo svedese Per Eklund sono costretti al ritiro per noie al motore e il privato svizzero Jean-Luc Thevenaud termina la gara in 16° posizione. Nel Rally del Portogallo vengono schierate tre vetture (affidate a Pond, Wilson e al belga Marc Duez), tutte ritirate per lutto dopo l’incidente del lusitano Joaquim Santos che nella prima prova speciale travolge e uccide tre spettatori.

Al Tour de Corse arrivano altri tre ritiri per la MG Metro 6R4 (Pond per un problema all’albero a camme, Wilson per un incendio e il francese Didier Auriol per una perdita d’olio) mentre in Nuova Zelanda tocca ad un altro privato – il locale Tony Teesdale – terminare la corsa (23°).

Bisogna aspettare settembre – al 1000 Laghi – per vedere un mezzo ufficiale al traguardo: ci riescono il finlandese Harri Toivonen (8°) e Wilson (10°), esiti alterni – Eklund (7°), Mika Arpiainen (incidente) – per i due privati.

Nel Rally di Sanremo Wilson arriva quarto, Pond è vittima di un incidente e Duez è tartassato da problemi al motore. Nell’ultima apparizione ufficiale iridata – al RAC – la Casa britannica schiera ben dodici vetture: otto di queste si ritirano e le altre quattro chiudono la gara in “top ten” (Pond sesto, Eklund 7°, il britannico Jimmy McRae – papà di Colin – ottavo e il connazionale David Llewellin nono).

Non solo WRC

La MG Metro 6R4 ottiene maggiori soddisfazioni nelle serie nazionali: Auriol, ad esempio, diventa campione francese grazie ai trionfi nel Critérium Rouergat, al Mont Blanc, ad Antibes, in Alsazia e nel Critérium des Cevennes mentre le tre vittorie nel Regno Unito (due di Llewellin e McRae in Irlanda del Nord e una di Pond nell’isola di Man) non bastano per portare a casa il titolo britannico.

Nel 1987 le Gruppo B vengono abolite dal Mondiale rally a causa della loro pericolosità: le piccole Metro, svendute, trovano rapidamente clienti mentre il progetto del motore viene acquistato dalla Tom Walkinshaw Racing. La società di engineering britannica modifica profondamente questo propulsore – incrementando la cilindrata a 3,5 litri e aggiungendo due turbocompressori – e lo installa sotto il cofano della supercar Jaguar XJ220 presentata nel 1992.

MG Metro 6R4: metrosexual

MG Metro 6R4
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di Henry Catchpole

A quasi trent'anni dal debutto sa ancora colpire e divertire?

Il tachimetro sul cruscotto segna 2.467 miglia, ovvero 3.970 km. Sembra fermo e sospeso nel tempo. Le ruote hanno percorso pochissima strada da quando quest’auto è uscita dalla fabbrica della Austin Rover nel lontano 1986. Non ha mai nemmeno cambiato la cinghia di distribuzione (il che è abbastanza preoccupante, visto che è proprio la cinghia ad aver fregato molte delle sue sorelle quando erano lanciate a tutto gas nella foresta, dove non distingui gli spettatori dai tronchi degli alberi). Tra pochi minuti quei numeri si rimetteranno a scorrere di nuovo. Perché realizzerò il mio sogno: guiderò una Metro 6R4.

Non si tratta di una 6R4 qualunque. Probabilmente è la 6R4 più originale che esista al mondo. È stata costruita in 200 esemplari stradali per rispettare le norme di omologazione delle Gruppo B, insieme ad altri 20 esemplari da rally in pieno assetto da battaglia per (provare a) contrastare le infuocate Lancia, Peugeot e Audi sullo sterrato. La maggior parte di quelle 200 stradali è poi stata convertita in versioni da rally o rallycross per prendere parte a vari campionati dilettantistici. Tra i dipendenti della Austin Rover gira voce – ma potrebbe anche essere infondata – che gli esemplari non siano nemmeno stati costruiti tutti. A quanto pare, quando la FIA si è presentata allo stabilimento della Austin Rover per ispezionare il lotto di 200 esemplari, le auto sarebbero state messe in fila nel capannone di Longbridge e, dopo essere state controllate, sarebbero state spostate in fretta e furia alla fine della fila, cambiando anche la targhetta identificativa.

Stando alla piccola placca montata su questa Metro 6R4, si tratta della numero 179. Appartiene a Malcolm Leggate, ex pilota e padre dell’ex pilotessa del BTCC Fiona Leggate. Possiede quest’auto dal 2000, quando l’ha comprata per l’equivalente di 27.000 euro (circa 30.000 euro meno di quanto costava da nuova, anche se il prezzo all’epoca era negoziabile) e da allora ha percorso solo 800 km.

Sono mesi che non la guida. Normalmente penserei che trascurare così un’auto del genere è un sacrilegio, ma questa macchina ha così pochi chilometri all’attivo ed è un tale pezzo di storia che diventa quasi comprensibile.

Quando ci siamo presentati a casa sua questa mattina, davanti a una tazza di caffè fumante Malcolm ci ha mostrato tutta la documentazione dell’auto (gli ha persino cambiato targa, da A6 RAU – che, visto che la A assomiglia a un 4 si legge un po’ come A 6R4 U – a quella originale che vedete in queste foto) prima di portarci a vederla, a qualche chilometro da qui. Anche nascosta sotto un telo, sembra incredibile, con quell’alettone posteriore che sale da sotto il lenzuolo come una vela e che crea una bizzarra silhouette.

Vederla emergere piano piano da sotto il lenzuolo è stato eccitante come svelare una nuova supercar al Salone di turno. Quello spoiler anteriore arancione, poi il bianco dell’alettone anteriore, centimetro dopo centimetro finché tutta l’auto non è rimasta nuda davanti a noi. La 6R4 sembra larga, lunga e alta uguale, anche se è tutto fuorché un cubo. Secondo il fotografo Dean Smith è orribile. Io invece non sono d’accordo. Il nostro film-maker, Sam Riley, è più fantasioso e dice che gli ricorda un Transformer. Su una cosa però siamo tutti d’accordo: non abbiamo mai visto un’auto più brutale, aggressiva e pensata per andare dritta allo scopo.

La spingiamo fuori dal garage, attenti a mettere le mani solo sui pannelli di metallo e non sulla fibra di vetro. È incredibilmente pesante per un’auto che tocca a malapena i 1.000 kg, ma dipende dalle gomme larghe che monta in questo momento.

Malcolm se ne va per un impegno precedente e ci lascia soli a fotografare i dettagli, dopo averci raccomandato di non accenderla.

Apro il cofano e rimango di sasso: niente motore. Qui non c’è praticamente nulla a parte un paio di alberi di trasmissione e un grosso differenziale. Dietro i passaruota anteriori sporgenti si riesce a malapena a distinguere la portiera – praticamente l’unico pezzo rimasto della Metro standard – dietro tutte quelle prese d’aria allargate. Passando al posteriore, non puoi fare a meno di chiederti quanto sia alto quell’alettone, mentre un poco più in basso sembra quasi che manchi uno spoiler proprio sotto la targa, dove il subframe è a vista, come se la macchina fosse uscita con la gonna infilata nelle mutande. Dentro, infine, si scorge il rollbar a gabbia, che si estende fino ai montanti anteriori.

Sollevando il portellone posteriore si scopre il V6 da 3 litri, che sostanzialmente è lo stesso motore della Jaguar XJ220, solo che qui è aspirato. L’estremità con il cambio è rivolta in avanti verso il centro dell’auto, collegata a un albero che va al differenziale centrale viscoso (prodotto da Ferguson Fabrications, l’azienda che ha creato l’unica F1 a trazione integrale). Il motore è spostato leggermente a sinistra, con un albero secondario che corre sul lato destro del carter del differenziale posteriore, così che i due alberi di trasmissione posteriori sono lunghi uguali. Molte 6R4 hanno il motore elaborato, ma questo è completamente originale, filtro dell’aria compreso.

Nei vari test la Austin Rover usava un Rover V8 a cui erano stati tolti due cilindri, ma il V6 definitivo, con doppio albero a camme in testa per bancata, è stato progettato da David Wood (un ex della Cosworth) ed è considerato il primo motore progettato specificatamente per un’auto da rally.

All’epoca era l’unico aspirato in un mondo di motori a induzione forzata, ma l’idea di base era che l’aspirazione avrebbe garantito una erogazione e una coppia più ampie e sfruttabili e che il motore non avrebbe sofferto dei problemi di surriscaldamento che erano la piaga dei turbo di allora. Purtroppo questi progetti e queste valutazioni sono stati fatti nel lontano 1981, quando la British Leyland Motorsport ha iniziato a lavorare con Patrick Head alla Williams GP Engineering. Nel 1985, quando una 6R4 ha calcato per la prima volta gli stage internazionali, i problemi di raffreddamento e di lag delle rivali turbo erano stati ampiamente risolti e la potenza che producevano era di gran lunga superiore a qualsiasi vantaggio in termini di flessibilità che la 6R4 poteva avere. Ma questa è un’altra storia.

A guardare tutti i dettagli non si può che rimanere stupefatti da questa macchina. Che però non è perfetta. Una delle luci anteriori è fissata male e anche se ci sono quattro metri di saldatura (rispetto ai 120 cm della Metro standard) è fatta un po’ alla buona. Come se i meccanici avessero avuto fretta di finire…

Dopo un paio d’ore Malcolm ritorna e quando Dean ha finito con le foto statiche siamo pronti a scendere in strada. Sorprendentemente la Metro si accende al primo colpo. Poi però si spegne e si riaccende di nuovo. Dopo un minuto ad accarezzare l’acceleratore, il motore si stabilizza quanto basta per non spegnersi più, con i giri che salgono e scendono aritmicamente. Diversi minuti più tardi il minimo concitato a cui il motore si assesta indica che ha raggiunto la temperatura e che tutto funziona come si deve nel propulsore V64V (il nome sta per V6 con 4 valvole per cilindro).

Malcolm si mette al volante per le foto e poi tocca a me.

Fortunatamente non piove (Malcolm non ci avrebbe fatto guidare la Metro sul bagnato) ma c’è un vento gelido che spazza la brughiera e minaccia di strapparmi la portiera di mano e buttarmi a terra quando sollevo il piede per superare il largo battitacco e salire sulla 6R4. La seduta è stretta e inclinata verso il centro dell’auto e il volante grigio in pelle – che sembra un po’ fuori luogo su un’auto del genere – è un po’ troppo sporgente, ma tutto sommato la posizione di guida è accettabile.

Il sedile è abbastanza confortevole anche se è il classico vecchio sedile a guscio che ti tiene stretto come le spire di un boa. L’abitacolo sportivo è pieno di piccole incongruenze come il piccolo pomello del cambio della Metro standard a cui è stato incollato un nuovo schema con la prima in basso. C’è anche tutta una serie di fusibili accanto a un accendisigari e i quadranti fanno tanto utilitaria, tranne per il fatto che il contagiri arriva a quota 10.000.

Guardando fuori dal parabrezza lo sguardo è attratto dalle due protuberanze sul cofano; dando un’occhiata negli specchietti invece gli occhi si fissano sulle enormi prese d’aria laterali. Sembra di stare seduti dentro la macchina di un fumetto manga. Una volta acceso l’interruttore generale si fa mezzo giro con la normalissima chiave Austin Rover, si preme l’acceleratore una volta e si finisce di girare la chiave per mettere in moto il motore dietro le vostre spalle. La frizione è a corsa corta e serve una certa forza per mandarla a tappeto. Si infila la prima spostando la leva a sinistra e indietro, poi si solleva il pedale della frizione – che ha un punto di attacco incredibilmente alto – e via.

Sto guidando una 6R4.

Auto come la Mégane R26.R e la Mini GP sono piuttosto estreme per essere delle stradali. Molta gente si stupisce della loro guida ferma e, nel caso della Renault, della mancanza di comfort. Ma sono entrambe delle mollaccione in confronto a questa 6R4. Paragonare queste due auto alla Metro è come trovarsi a un party e raccontare a un tizio che ieri hai corso per 2 km (1,7 in realtà ma di sicuro il GPS non funzionava bene) per poi scoprire che lui ha appena vinto l’ennesima edizione dei campionati di triathlon. Nell’abitacolo della Metro c’è un tale baccano che quando sei in movimento chiacchierare con il passeggero è praticamente impossibile. Il consumo medio è di 2 km/l (esatto: 2, non ho sbagliato a scrivere). Con tutto il caldo che spara fuori il motore, se la guidi d’estate, nel giro di dieci minuti sei cotto. D’altronde, la 6R4 è un’auto pensata esclusivamente per le corse, non per fare una gita al mare con la fidanzata. Mi bastano trenta secondi al volante per innamorarmi di lei.

Anche se le auto con i motori turbo avevano un vantaggio in termini di prestazioni, la Metro conquistava il cuore della gente con il sound del suo V6. Provate a guardare un video dell’epoca, quando le auto non sono inquadrate: senza la vista a ingannarvi vi potrete concentrare sul sound e vi renderete conto che mentre le altre macchine borbottano, sbraitano e fischiano la Metro ti fa correre un brivido lungo la schiena. A basso regime però quella musicalità sparisce e si trasforma in una cacofonia di differenziali che sbuffano e di un motore che ricorda un po’ troppo un trattore. Come tante auto da corsa, il modo in cui il rumore cresce di intensità anche solo sfiorando l’acceleratore è il modo migliore per far spegnere l’auto, perché quando senti il V6 salire così, d’istinto togli il piede dal gas.

Fortunatamente mi è già capitato in passato e ho imparato la lezione, così riesco a dosare il gas senza far spegnere il motore.

Vorrei potervi dire a quanti giri il sound del motore passa da trattore ad auto da corsa. Credo sia intorno ai 4.000, ma sono talmente concentrato a non finire in uno di quei profondi fossi a bordo strada che non riesco a distogliere gli occhi e guardare il contagiri. Una cosa però posso dirvela: quando il V64V arriva al regime ideale, il suo sound è assolutamente spettacolare e il sottile strato di Perspex che mi separa dal motore diventa praticamente inutile. È un bel modo per diventare sordi…

Nella versione standard il propulsore ha 250 CV, ma con le camme elaborate e un collettore di scarico con valvola a farfalla, sale oltre i 10.000 giri riuscendo a sviluppare più di 400 CV. La coppia invece è di 305 Nm. Per assurdo, pur essendo un’auto da rally ha meno coppia della versione stradale completamente elaborata. Anche se la Metro 6R4 è velocissima con queste marce corte da rally che ti sparano verso l’orizzonte, si capisce che il motore potrebbe dare di più: c’è una soglia quasi artificiale che taglia proprio quando pensi che potrebbe salire ancora più in alto.

Questa stradina, come molte altre della zona, è a una sola carreggiata, ma non c’è niente a impedire la visuale, quindi è facile alzare il ritmo. Nonostante i pochi chilometri all’attivo e l’uso limitato che Malcolm fa della Metro, al proprietario non dispiace che la guidiamo come si deve, anzi mi incoraggia a sfruttare a fondo tutti i giri in ogni marcia. In confronto alla difficoltà a infilare la retro, il passaggio dalla prima, alla seconda e alla terza è ottimo, la corsa della leva sottile è corta e coinvolgente, la quarta invece è un po’ più complicata da infilare.

Quando prendo il ritmo e inizio a entrare in curva più velocemente, i freni diventano cruciali.

La prima volta che mi affido totalmente a loro mi viene un mezzo infarto. Sono potenti ma sono anche freddissimi, non hanno la minima assistenza e il pedale centrale richiede una forza pazzesca per affrontare come si deve la “90 sinistra, non tagliare”. Sotto tutti quegli alettoni e quei passaruota squadrati, la Metro 6R4 è pur sempre una macchina piccola (come una volta ha detto il capo della divisione sportiva della Austin Rover, John Davenport: «un’auto piccola fa sembrare più grande una pista piccola»). Quando ti fiondi nelle curve senti l’impronta a terra corta e quasi quadrata, con le quattro ruote che sembrano muoversi come una sola; la Metro è incredibilmente reattiva, ma questo significa anche che finire in testacoda è un attimo.

La ripartizione della coppia è di 35/65 a favore del posteriore e anche se vorrei fare di tutto con lei, anche le cose più folli, con quel passo corto la 6R4 esce dalle curve scodando leggermente e con la maggior parte del carico sulle gomme posteriori, quindi è meglio non esagerare. La spinta delle ruote anteriori rovina le reazioni dello sterzo e l’auto tende ad agitarsi sui cambi di pendenza obbligandovi a concentrarvi totalmente sulla guida.

Sono passati quasi trent’anni da quando il primo prototipo della 6R4 è stato guidato dal pilota Tony Pond (che in seguito farà salire sul terzo gradino del podio nel RAC Rally del 1985 una 6R4) su una pista di decollo dell’Oxfordshire. Nella brochure che pubblicizzava la nuova Metro c’era una sua citazione: «è facile da guidare e molto veloce anche quando non va al massimo. Con lei non serve un asso del rally per vincere». In realtà Pond era uno che sapeva guidare.

Riesco a malapena a immaginare lo sforzo necessario a portare una 6R4 in un rally su asfalto. Se mi capitasse ancora l’occasione di guidare una Metro, vorrei provarla sullo sterrato, dove forse i controlli sarebbero più leggeri e i differenziali funzionerebbero in maniera più normale. Penso anche che si sentirebbe più a suo agio: me la immagino perennemente di traverso e con i sassolini che rimbalzano contro il pianale.

Comunque sono felice come un bambino di averla potuta guidare. Di aver avuto l’occasione di stare al volante di questa auto dal look e dal sound folle che si lancia verso l’orizzonte. Di aver fatto un salto all’indietro nel tempo fino al 1986. Di aver visto i numeri del contachilometri muoversi ancora una volta.

Scheda Tecnica

MotoreV6, 2.991 cc
Potenza250 CV @ 7.000 giri
Coppia305 Nm @ 6.500 giri
Trasmissionecambio manuale a 5 marce, traz. integrale, diff. a slitt. limitato
Sospensioni ant.schema MacPherson, molle elicoidali, ammortizzatori, barra antirollio regolabile
Sospensioni post.bracci inferiori, molle elicoidali, ammortizzatori, barra antirollio regolabile
Frenidischi autoventilati da 304 mm ant. e post., freno a mano idraulico
Cerchi(standard) 8x15" ant. e post.
Pneumatici225/45 ZR15 ant., 245/40 ZR15 post.
Peso(a secco) 1.000 kg
Potenza-peso4,5 secondi (stimata)
Velocità225 km/h (stimata)
Prezzo da nuova59.000 euro (1985)

MG Metro 6R4

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Tutte le caratteristiche dell'inglesina da rally

La MG Metro 6R4 è una delle tante auto da rally del Gruppo B che hanno fatto emozionare gli appassionati del motorsport negli anni ’80. La piccola inglese non ha ottenuto risultati rilevanti ma può vantare una base tecnica molto interessante.

Caratteristiche principali

Nata nel 1985 e prodotta in 200 esemplari, ha la trazione integrale e una carrozzeria in plastica (portiere escluse). La versione da gara ha ottenuto come  miglior piazzamento un 3° posto nel RAC Rally del 1985 mentre l’anno seguente è arrivata 9° nel Mondiale Costruttori.

Il motore

Il propulsore 3.0 V6 genera una potenza di 250 CV nella variante stradale e di 410 CV nella versione destinata alle corse. L’unità ha molti elementi in comune con quella montata dalla Jaguar XJ220 del 1992.