Lotus, una lunga tradizione di F1

Smartworld
di Marco Coletto

Storia della scuderia britannica, tra le più vincenti del Circus

La Lotus non vince un Mondiale F1 da 35 anni eppure può essere considerata una delle scuderie che hanno fatto la storia di questo sport: non solo per i successi (13 titoli iridati – sei Piloti e sette Costruttori – tra gli anni Sessanta e Settanta) ma anche per la quantità impressionante di campioni che hanno corso per questa squadra.

Scopriamo insieme la storia del team britannico, da sempre fucina di talenti (sette Campioni del mondo hanno esordito con questa squadra) e caratterizzato da tanti alti e bassi.

Lotus: la storia in F1

La Lotus debutta in F1 nel GP di Monte Carlo del 1958 con due driver britannici: Cliff Allison (6° al traguardo) e Graham Hill (fuori per un guasto al motore). Il miglior risultato stagionale arriva in Belgio quando Allison sfiora il podio terminando al quarto posto. L’anno seguente tocca invece ad un altro suddito di Sua Maestà, Innes Ireland (quarto in Olanda), mancare di poco le prime tre posizioni.

Le prime vittorie

Gli anni Sessanta si aprono alla grande: nel 1960 la scuderia “british” termina al secondo posto il Mondiale Costruttori grazie al britannico Stirling Moss, che ottiene la prima vittoria nella storia del team a Monte Carlo e si ripete negli USA. Nel 1961 Moss porta a casa altri due successi (Monte Carlo e Germania) mentre Ireland prevale negli USA e l’anno successivo i tre trionfi (Belgio, Gran Bretagna e USA) del britannico Jim Clark non bastano per conquistare il titolo iridato.

L’era Jim Clark

Il 1963 è un anno d’oro per la squadra di Colin Chapman – il fondatore – che si aggiudica il Mondiale Costruttori grazie a Clark, che diventa campione del mondo Piloti con ben sette successi (Belgio, Olanda, Francia, Gran Bretagna, Italia, Messico e Sudafrica). L’anno seguente la situazione peggiora con “solo” tre successi da parte del driver “british” (Olanda, Belgio e Gran Bretagna).

La Lotus torna a dominare nel 1965 bissando nuovamente il titolo iridato: ancora una volta il merito va esclusivamente a Clark che taglia il traguardo davanti a tutti in sei occasioni (Sudafrica, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Olanda e Germania).

Il cambio di regolamento nel 1966 (motori passati da 1.500 a 3.000 cc) coglie impreparata la scuderia britannica, che ottiene un solo successo negli USA. Il team si riscatta nel 1967 con quattro successi – sempre di Clark (Olanda, Gran Bretagna, USA e Messico) – ma i risultati non sono sufficienti per l’iride.

Nel 1968 Clark si aggiudica la prima gara stagionale – in Sudafrica – ma perde la vita tre mesi più tardi in una gara di F2.

Hill e Rindt

La Lotus ha una monoposto vincente e nonostante la scomparsa del suo pilota più rappresentativo porta a casa entrambi i Mondiali di quell’anno grazie ai tre successi del britannico Graham Hill (Spagna, Monte Carlo e Messico), che gli permettono di ottenere l’iride tra i driver, e all’exploit dello svizzero Jo Siffert – primo non britannico a potare sul gradino più alto del podio una Lotus – in Gran Bretagna. La monoposto 49B, verniciata con i colori rosso-oro delle sigarette Gold Leaf e non più con la classica tinta verde inglese, entra nella storia del motorsport per essere la prima vettura del Circus sponsorizzata.

Il 1969 è un anno di transizione nel quale Hill vince a Monte Carlo e l’austriaco Jochen Rindt prevale negli USA. Quest’ultimo domina la stagione 1970 con cinque successi (Monte Carlo, Olanda, Francia, Gran Bretagna e Germania), perde la vita nel GP d’Italia ma riesce comunque a conquistare il Mondiale (l’unico della storia ad essere assegnato postumo). Il titolo Costruttori se lo aggiudica la Lotus, grazie anche al successo del brasiliano Emerson Fittipaldi negli USA.

Il Mondiale di Fittipaldi

Nel 1971 Chapman si concentra troppo nello sviluppo di una monoposto a trazione integrale e questo incide sui risultati: per la prima volta dal 1960 non arriva nessuna vittoria (miglior piazzamento il secondo posto di Fittipaldi in Austria) per la Lotus.

La situazione migliora decisamente nel 1972 quando Fittipaldi ottiene l’iride (merito di cinque vittorie: Spagna, Belgio, Gran Bretagna, Austria e Italia) e permette al suo team di portare a casa il Mondiale Costruttori. Il titolo riservato alle squadre viene bissato l’anno seguente grazie ai tre successi di Fittipaldi (Argentina, Brasile e Spagna) e ai quattro trionfi dello svedese Ronnie Peterson (Francia, Austria, Italia e USA).

Il declino e la risalita

Le uniche soddisfazioni per la Lotus nel 1974 arrivano da Peterson (vincente a Monte Carlo, in Francia e in Italia) mentre nel 1975 l’unico podio – colpa di una monoposto obsoleta – è opera del belga Jacky Ickx (secondo in Spagna).

La risalita inizia nel 1976 con il successo dello statunitense Mario Andretti nell’ultima prova stagionale, quel GP del Giappone raccontato nel film “Rush”, e nel 1977 il team inglese sfiora il titolo Costruttori con Andretti (primo negli USA Ovest, in Spagna, in Francia e in Italia) e con lo svedese Gunnar Nilsson (davanti a tutti in Belgio).

L’ultimo Mondiale

L’ultimo Mondiale per la Lotus risale al 1978: un’annata gioiosa e al tempo stesso tragica per la scuderia di Colin Chapman. Andretti diventa iridato con sei vittorie (Argentina, Belgio, Spagna, Francia, Germania e Olanda) mentre il compagno Peterson (due successi in Sudafrica e in Austria), tornato in Lotus dopo aver abbandonato il team nel momento di crisi, perde la vita in un incidente nel GP d’Italia.

Un mese più tardi scompare anche Nilsson per via di un tumore.

Aria di crisi

Dopo il doppio titolo iridato inizia un periodo di crisi per il team “british” che non sale neanche una volta sul gradino più alto del podio nei successivi tre anni: i migliori risultati arrivano dall’argentino Carlos Reutemann (2° in Argentina e Spagna 1979), dal nostro Elio de Angelis (2° in Brasile nel 1980) e dal britannico Nigel Mansell (3° in Belgio nel 1981).

Addio Chapman

La Lotus torna alla vittoria nel 1982 – in Austria – grazie a de Angelis. Nello stesso anno muore Colin Chapman per un attacco cardiaco. I due anni successivi sono poveri di risultati (Mansell terzo nel GP d’Europa 1983, in Francia e in Olanda nel 1984 e de Angelis terzo in Brasile, a San Marino e a Dallas nel 1984)

Gli ultimi momenti di felicità

L’ingaggio del pilota brasiliano Ayrton Senna nel 1985 permette al team britannico di tornare alla vittoria. Il sudamericano prevale in Portogallo (primo successo in carriera) e in Belgio mentre il compagno de Angelis sale sul gradino più alto del podio a San Marino.

Dall’anno successivo gli unici successi per la Lotus arrivano da Ayrton: due nel 1986 (Spagna e Detroit) e due nel 1987 (Monte Carlo e Detroit).

Tempi bui

Senna abbandona la Lotus nel 1988, anno in cui il brasiliano Nelson Piquet riesce a portare a casa tre terzi posti (Brasile, San Marino e Australia). Da quel momento in poi il nulla: nel 1989 il team britannico sfiora più volte il podio (tre quarti posti con Piquet in Canada, Gran Bretagna e Giappone e uno del nipponico Satoru Nakajima in Australia) mentre nel 1990 il miglior piazzamento è il quinto posto del britannico Derek Warwick in Ungheria.

Nel 1991 la Lotus si affida soprattutto al finlandese Mika Häkkinen (quinto a San Marino), che l’anno seguente arriva due volte quarto in Francia e in Ungheria.

Il britannico Johnny Herbert (quarto in Brasile, nel GP d’Europa e in Gran Bretagna nel 1993 e settimo in Brasile nel GP del Pacifico e in Francia nel 1994, primo anno senza punti per la scuderia inglese) ottiene i migliori piazzamenti del team prima dell’addio al Circus.

Il ritorno

La Lotus torna in F1 nel 2010 ma la scuderia ha ben pochi elementi in comune con quella che ha abbandonato il Circus nel 1994. Innanzitutto non è più britannica ma malese visto che nasce da un consorzio formato da alcuni imprenditori del Paese asiatico e dal governo di Kuala Lumpur che ottiene dalla Casa automobilistica Proton (proveniente dalla Malesia e proprietaria del brand “british”) il diritto di poter usare lo storico nome per correre nel Circus.

La scuderia gareggia per due stagioni senza mai conquistare un punto: il primo anno il finlandese Heikki Kovalainen porta a casa un 12° posto in Giappone mentre l’anno seguente arrivano tre tredicesimi posti: due con il nostro Jarno Trulli (Australia e Monte Carlo) e uno ancora con Kovalainen (Italia).

Il salto di qualità

Nel 2012, dopo una lunga battaglia legale, il nome Lotus viene usato per le monoposto ex-Renault (scuderia già spnsorizzata dalla Casa britannica l’anno prima). La squadra, tornata ufficialmente inglese, vince un GP (quello di Abu Dhabi con il finlandese Kimi Räikkönen) dopo un digiuno di ben venticinque anni e nel 2013 porta a casa un altro successo, sempre con Räikkönen in Australia.