Gilles Villeneuve: campione o sopravvalutato?

Gilles Villeneuve
Smartworld
di Marco Coletto

A trent'anni dalla morte il mondo degli appassionati è ancora diviso sulla sua figura

Gilles Villeneuve è il pilota di F1 più sopravvalutato della storia o è stato un vero campione?

A trent’anni dalla morte il mondo degli appassionati è ancora diviso sulla sua figura: in Italia (patria della Ferrari e dei ferraristi) e in Canada (sua terra natale) è considerato alla stregua di un dio mentre altrove le critiche non mancano.

Leggendo i freddi numeri verrebbe da dare ragione ai suoi detrattori: il suo palmares recita un secondo posto nel Mondiale 1979 (dietro al compagno Jody Sheckter) con la vettura migliore della stagione, 6 vittorie, 2 pole position, 8 migliori giri e 13 podi.

Se non ci avesse lasciati l’8 maggio 1982 a Zolder probabilmente ora lo considereremmo un eccentrico come Eddie Irvine (che oltretutto può vantare risultati migliori in carriera).

Gilles era un amante della velocità – sia in pista che fuori – con qualsiasi mezzo: auto (due ore e 45 minuti per andare da Monte Carlo a Maranello, secondo Google Maps ce ne vogliono più di quattro), elicottero e motoslitta per lui non facevano differenza. Gli aneddoti riguardanti la sua vita sono più numerosi dei suoi successi.

Rischiava tanto, troppo, e questo non piaceva agli altri piloti: su 67 GP disputati ne ha portati a termine solo 37. Aveva un istinto di autoconservazione più basso di quello della media (già non particolarmente elevato) dei colleghi  – che lo consideravano pericoloso – e nessuno dei driver in attività in quell’anno partecipò al suo funerale.

Eppure Villeneuve era entrato nel cuore dei tifosi della Rossa, soprattutto quelli che ascoltavano più il cuore della testa, già mentre correva: portava sempre e costantemente la vettura al limite, non si risparmiava mai (una caratteristica che ancora oggi accomuna tutti gli sportivi più amati) e, soprattutto, si prendeva sempre ogni responsabilità, anche quando la colpa non era soltanto sua.

Enzo Ferrari lo prese in squadra quando era praticamente un debuttante (solo un GP disputato con la McLaren) per dimostrare che le sue vetture erano più importanti dei piloti che le guidavano.

Lui rispose mostrando le cose migliori al volante di monoposto pessime (la 312T5 del 1980) o poco brillanti (la 126CK del 1981).

Impossibile, poi, non dimenticare il GP di Spagna 1981 (in testa dal 14° giro fino al termine con quattro inseguitori racchiusi in un secondo e mezzo di distacco) e, soprattutto, il duello con René Arnoux durante il GP di Francia 1979 sul circuito di Digione. Una sfida talmente emozionante da far passare in secondo piano il fatto che i due non stavano lottando per la vittoria…

La verità su Gilles Villeneuve, forse, si trova nel mezzo: non è stato un fuoriclasse ma nemmeno uno sfasciamacchine (non si diventa vicecampioni del Mondo per caso). Se fosse sopravvissuto in Belgio difficilmente avrebbe regalato al Cavallino un titolo ma possiamo scommettere che sarebbe riuscito ad emozionare ancora i tifosi. E ci sarebbe piaciuto vederlo a 47 anni festeggiare ai box di Jerez la vittoria nel Mondiale 1997 del figlio Jacques