Fino agli anni Settanta le potenze dei motori automobilistici (e non solo) non erano tutte uguali: esistevano infatti diversi metodi di rilevamento dei cavalli – DIN e SAE i più comuni – e in qualche caso venivano adottati accorgimenti particolari per rendere più alti i valori.
Il metodo di misurazione europeo DIN (acronimo di Deutsches Institut für Normung) è quello utilizzato attualmente in Italia: il propulsore – montato sull’automobile – viene testato al banco e un cavallo equivale a 735,4875 W. Il cavallo britannico (noto come HP) viene misurato allo stesso modo ma l’equivalenza con i Watt è differente: 1 HP = 745,69987 W.
Il metodo SAE, pur essendo americano (Society of Automotive Engineers), veniva usato fino al 1972 anche da diverse Case costruttrici italiane per poter dichiarare potenze più elevate (ora le regole per i test sono simili a quelle DIN). Fino a quarant’anni fa il motore veniva provato solo con le componenti che servivano a farlo funzionare. Mancavano quindi accessori che riducevano il numero di cavalli come i filtri, lo scarico e l’alternatore. Per non parlare dell’assenza della trasmissione.
In passato esisteva anche un metodo tutto italiano di misura del cavallo vapore chiamato CUNA (Commissione Tecnica di Unificazione nell’Autoveicolo): la scelta di testare il propulsore con ancora meno componenti rispetto al sistema SAE gross (quello adottato fino agli anni Settanta, ora invece si chiama SAE net) consentiva di ottenere ancora più puledri.